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Sporcarsi

In merito all’Ilva, il lavoro, la mortalità e tematiche simile: al contadino sembra che pian piano sta emergendo un idea del lavoro “pulito”, “sano”, “senza sudore”, “sicuro” e via così.
Ma nella realtà il lavoro ci consuma: ci consuma le tendini, le arti, i muscoli, l’udito, le ginocchia, la vista, il cervello, quel che vuoi. Ci consuma ed è naturale.

Ovviamento cerchiamo giustamente di limitare questo consumo al mimimo, e qui si scontrano interessi economici con quelli dei lavoratori dipendenti e altro, ma non esiste il lavoro che non ci consuma ed è giusto così altrimenti cosa abbiamo dato al mondo?

11 commenti

  1. mario 15 Luglio 2013

    Non è in questione questo, ma l’essere “dedicati” alla morte. Questa è la differenza fra un lavoro vitale ed un lavoro mortificante

  2. meeme 16 Luglio 2013

    Coincidenza chiama!
    Ho pagato pochi spiccioli per un libro del supercitato Gibran,
    la biblioteca ogni tanto alleggerisce il magazzino.
    Dov’è la coincidenza? Che era IERI,
    e che l’ho aperto soltanto a casa per vedere cosa avevo comprato( mi piaceva la copertina ).
    Ecco che si apre.

    Allora un contadino(!) disse: Parlaci del Lavoro.
    E lui rispose dicendo:
    Voi lavorate per assecondare il ritmo della terra e l’anima della terra.
    Poichè oziare è estraniarsi dalle stagioni e uscire dal corso della vita,
    che avanza in solenne e fiera sottomissione verso l’infinito.

    Quando lavorate siete un flauto attraverso il quale il sussurro del tempo
    si trasforma in musica.
    Chi di voi vorrebbe essere una canna silenziosa e muta quando tutte le
    altre cantano all’unisono?

    Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.
    Ma io dico che quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra, che vi fu dato in sorte quando il sogno stesso ebbe origine.
    Vivendo delle vostre fatiche, voi amate in verità la vita.
    E amare la vita attraverso la fatica è comprenderne il segreto più profondo.

    Ma se nella vostra pena voi dite che nascere è dolore e il peso della carne
    una maledizione scritta sulla fronte,
    allora vi rispondo: tranne il sudore della fronte niente laverà ciò che vi
    è stato scritto.

    Vi è anche stato detto che la vita è tenebre e nella vostra stanchezza voi fate eco a ciò che è stato detto dagli esausti.
    E io vi dico che in verità la vita è tenebre fuorchè quando è slancio,
    E ogni slancio è cieco fuorchè quando è sapere,
    E ogni sapere è vano fuorchè quando è lavoro,
    E ogni lavoro è vuoto fuorchè quando è amore;
    E quando lavorate con amore voi stabilite un vincolo con voi stessi,
    con gli altri e con Dio.
    E che cos’è lavorare con amore?
    E’ tessere un abito con i fili del cuore, come se dovesse indossarlo il vostro amato.
    E’ costruire una casa con dedizione, come se dovesse abitarla il vostro amato.
    E’ spargere teneramente i semi e mietere il raccolto con gioia,
    come se dovesse goderne il frutto il vostro amato.
    E’ diffondere in tutto ciò che fate il soffio del vostro spirito,
    E sapere che tutti i vostri venerati morti stanno vigili intorno a voi.

    Spesso vi ho udito dire, come se parlaste nel sonno:
    ” Chi lavora il marmo e scopre la propria anima configurata nella pietra,
    è più nobile che chi ara la terra.
    E chi afferra l’arcobaleno e lo stende sulla tela in immagine umana è più
    di chi fabbrica sandali per i nostri piedi”.
    Ma io vi dico, non nel sonno ma nel vigile e pieno mezzogiorno,
    il vento parla dolcemente alla quercia gigante come al più piccolo filo d’erba;
    E che è grande soltanto chi trasforma la voce del vento in un canto
    reso ancora più dolce dal proprio amore.

    Il lavoro è amore rivelato.
    E se non riuscite a lavorare con amore, ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e, seduti sulla porta del tempio, accettare l’elemosina di chi lavora con gioia. Poichè se cuocete il pane con indifferenza, voi
    cuocete un pane amaro, che non potrà sfamare l’uomo del tutto.
    E se spremete l’uva controvoglia, la vostra riluttanza distillerà veleno nel vino.
    E anche se cantate come angeli, ma non amate il canto,
    renderete l’uomo sordo alle voci del giorno e della notte.

  3. upuaut 17 Luglio 2013

    Tra lavoro che consuma – ed è normale che sia così, vero – e lavoro che *avvelena* e che *ammazza* ce ne corre.

    L’ “etica del lavoro” non mi piace per niente. E’ l’etica utilitaristica di chi valuta se stesso e gli altri sulla base della produttività; e anche di chi si suicida sentendosi “inutile”. Aberrante.
    Si dice che il lavoro nobilita l’uomo. Balle, è l’uomo che nobilita il lavoro, se lo fa con amore e per amore, come dice Gibran.

  4. ste 17 Luglio 2013

    Dipende cosa si intende per “lavoro”. Purtroppo oggi conta al 100% solo quello pagato in soldi, ma per me lavoro significa anche scrivere sul blog, sparecchiare il tavolo e raccontare fiabe alle ragazzette.

    Per il resto il confine è sottile e non ben definito, per esempio solo in agricoltura chi tratta con fitofarmaci (esempio brutto il Rogor, vedi evento di Massa anni fa) spesso gli inala, magari perché si alza vento all’improvviso e non si fermi mica nessuno e butta la via la botte preparata.

  5. meeme 17 Luglio 2013

    Mi dispiace per te,
    e soprattutto per me, ma la normativa è chiara

    cioè pure se sparecchi per qualcuno che ti paga per farlo non sei un lavoratore:-)

    Riassumendo, sei un lavoratore se qualcuno ti paga per fare una certa cosa,
    ma può anche non pagarti,
    l’importante è che gli obbedisci e che il tuo tempo sia nelle sue mani.

    Se fai la la donna di casa a casa tua o meno, ti puoi scordare di fregiarti del nobile titolo.
    Se lo fai per qualcuno diventi una COLLABORATRICE, e uno che collabora è uno che lavora CON qualcuno non PER qualcuno.

    Il termine potrebbe avere due sfumature, una che ti alza di un gradino e una che ti abbassa.
    Ma è meglio se vado a preparare il pranzo:-)

  6. meeme 17 Luglio 2013

    Infatti è meglio,
    ho fatto un casino, le donne ai fornelli 😀

  7. ste 17 Luglio 2013

    Sistemerò 🙂
    Io non parlavo dei lavoratori ma del lavoro, e tutto può essere visto come un lavoro.

  8. Barbara M. 17 Luglio 2013

    mentre zappavo il granturco, un mese fa, in tutto 500 mq, pochissima roba ma per me lavoro infinito, ripensavo ai contadini che quello che a me massacrava fare per 2-3 ore al giorno per una settimana, facevano dall’alba al tramonto tutti i giorni per mesi.
    i figli di quei contadini invece erano andati in fabbrica e a confronto con quello che facevano i loro genitori, lavorare al chiuso di una fabbrica per 8 ore pareva nulla.
    i nipoti di quei contadini sono andati in ufficio perché già il lavoro in fabbrica pareva loro troppo faticoso.
    i bisnipoti di quei contadini avrebbero aspirato a fare tutti i manager laureati dirigendo gli impiegati di cui sopra. non ci sono riusciti se non in minima parte, però non è questo il punto ma per dire come la fatica sia vista sempre più come una cosa aberrante.
    poi però si va in palestra a sfondarsi di ginnastica o a camminare per fare un po’ di moto..
    boh, strani tempi.

    ciao Ste

  9. meeme 17 Luglio 2013

    Sai…mi piacciono le parole 🙂

    Stavo sostenendo la tua tesi “sfottendo” la casalinga che c’è in te,
    la quale, luogo comune,
    se sta a casa non fa niente – o fa la vita più dura( il TG ha due scuole di pensiero)
    e se presta i suoi servizi ad altri comunque non può dirsi una lavoratrice.

    Al massimo collaboratrice, cioè una che dà una spintarella al prossimo.

    E grazie 😉

  10. mrm 17 Luglio 2013

    @barbaraM, è quello che penso anch’io, mi siedo fuori casa la sera e vedo frotte di gente che corre (quando sono venuta qui ad abitare dopo dieci metri finiva la strada, adesso è tutto pieno di villette, siamo qui come formiche, lavorano, pagano il mutuo (per ora) e la sera corrono, corrono…e io li guardo e non capisco, anche perchè di fronte ho uno con le tapparelle elettriche, e se poi va in palestra o a correre davvero non capisco).
    oggi ho passato metà pomeriggio a grigliare verdure per la cena, ho un amico che candidamente mi dice: ma scusa, le compri già grigliate, no?
    probabilmente secondo lui ormai le melanzane nascono da sole e già grigliate (forse anche surgelate?) dai banchi del supermercato, e lui lavora tutto il giorno e per tutta la vita per avere questo privilegio (?) che gli dà anche una certa soddisfazione.
    peraltro se ne strafotte di come nascono e crescono queste melanzane e di chi/come/cosa le raccoglie ecc ecc ecc, non lo riguarda, lui c’ha da LAVORARE e i soldi per pagare (per ora), anzi, si lamenta anche quando piove, magari dopo mesi di siccità, ovvero vogliamo le melanzane però la pioggia ci dà fastidio.
    che dire, hanno fatto un bel lavoro, ci sono riusciti 🙁
    tornando al discorso del padrone di casa, che sa che non posso condire le suddette verdure grigliate con un olio qualsiasi, che male c’è appunto a consumarsi un po’ per fare le cose perbene? anche se non ci paga nessuno?
    mangio meglio io o il mio amico?

  11. LUX 18 Luglio 2013

    La vita del singolo individuo consiste nella consumazione del corpo per soddisfare la prosecuzione della vita in generale. Come e quanto muove il corpo nel tempo destinato e’ dato prima dalle necessità contingenti (bisogni) e poi dalla volontà di soddisfare i propri desideri. La “qualità” intrinseca del movimento secondo me risiede nella proporzione di energia spesa per i propri desideri sulla spesa totale…Personalmente non faccio distinzioni di “pulizia” o “sudore” o simili, ma di qualita’. Poi ognuno ha il proprio fabbisogno articolato di “movimento” corporeo o mentale che rappresenta l’optimum. L’arte di vivere sta nello scoprirlo ed affinarlo x se stessi, e non sulle mode del momento.

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