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Troppo primavera

Quattro gattini bianchi, le pecore nell'orto a mangiar l'erba ma anche i piselli e finocchi, le galline fuori dal recinto pure loro, sulla soglia di casa migliaie di formiche con e senza ali, una cavalletta e le prime lucertole a prendere il sole e un contadino nella vigna pieno di pensieri profondi sulla natura, l'uomo e il rapporto tra loro che però non ricorda ora. La primavera t'ammazza.

Poi pare che stanno per costruire un ripetitore sul cimitero. Il contadino pensava che sapevano che dopo la morte ci vuole tre giorni per staccarsi dal corpo eterico ( un lavoro che qui va svolto in tomba, perché i morti li seppelliscono massimo dopo due giorni), ma pare di no. A sentire tutte le bischerate che passano per la rete UMTS o come si chiama durante l'entrata nel kamaloka sarà il massimo.

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commenti (3)

Vittorio B.:

Che strane riflessioni primaverili, Ste.

Intenerisco alla foto dei gattini e ammetto che anche a me la primavera fa uno strano effetto.
Un po' m'ammazza pure, ma solo perché - da cittadino - l'inquinamento m'ha reso allergico al gran viaggiare di pòllini nell'aria. Insomma, per via degli starnuti, per me la primavera è un Purgatorio, che è poi qualcosa di non troppo dissimile da quel kamaloka di cui scrivi e di cui so quel poco che mi viene da una citazione di Luigi Pirandello.

Rimboccati le maniche, Ste, e tieni alto il cuore, ché m'aspetto tante belle foto sul rifiorire della tua campagna! ;-)

ste:

Succede ora che il contadino le foto di tutto quel fiorire e brulicare che ha davanti a sé le ha già fatte un anno fa, e due anni fa...poi kamaloka e purgatorio sono nomi technici per la stessa cosa, più o meno.

Vittorio B.:

"Una volta nella propria vita - così io penso - un essere umano dovrebbe concentrarsi con tutto il suo essere su di un pezzo di terra a lui familiare. Dovrebbe abbandonarsi totalmente ad una contrada che conosce, e contemplarla dai punti di vista più numerosi possibile. Dovrebbe soffermarsi e provare meraviglia davanti ad essa. Nella sua immaginazione dovrebbe sfiorarla con le mani ad ogni stagione, e accogliere in sé i suoi molteplici suoni. Egli dovrebbe immaginarsi le creature che vivono là, e sentire ogni alito di vento che vi passa sopra. Dovrebbe risvegliare in sé il ricordo radioso della luce del mezzogiorno, di tutti i colori del crepuscolo, del mattino e dell'oscurità della sera" (N. Scott Nomaday, "La via alle Montagne Piovose")

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