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Mese: Settembre 2007

Tutto quello su Ikea che hai mai osato di chiedere

Nel era del individualismo etico (sei tu che decidi sulle implicazioni morali delle tue azioni e se sono accettabile o meno per te; non c’è più una istanza che ti da la ricetta anche se veramente qualcuno prova ancora) dovresti sapere un minimo sui prodotti che compri. Sai com’è e dov’è cresciuto il grano per la pasta nel piatto e che il Coltan nel tuo cellulare fa morire nel Congo. Oggi nel mondo occidentale una persona con una formazione decente non può dire che non sapeva e comprando o meno un certo prodotto porta la sua piccola fetta di responsabilità: per la terra, l’acqua, l’aria, gli animali e uomini sopratutto.

ikeaE questo naturalmente vale anche per i mobili preferiti. Nella casa editrice Lindau esce questa indagine (e per correttezza va detto che questo post prende spunto dalla proposta di loro di inviare una copia al contadino – proposta gentilmente rifiutato mentre lui tiene la tematica importante da sé). In rete si trova un articolo su Le Monde Diplomatique e addirittura un sito Bad Ikea. Questa simpatica ditta non è quotato in borsa e controllato o certificato da nessuno…

IKEA è oggi uno dei brand mondiali più conosciuti e amati, specialmente dai giovani – è stato calcolato che un bambino su dieci in Europa viene concepito in un letto IKEA. Con la sua immagine pulita, i prezzi bassissimi, i mobili carini, IKEA in apparenza è una azienda modello, attenta all’impatto ambientale delle proprie lavorazioni e rispettosa dei diritti dei lavoratori.

Così vuole apparire agli occhi del grande pubblico la multinazionale del prêt-à-habiter. Ma la sua immagine di azienda etica è frutto di pratiche effettivamente responsabili o solo di un’ottima strategia di comunicazione?

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le denunce di sfruttamento del lavoro minorile nei Paese sottosviluppati, le denunce dei sindacati circa il mancato rispetto degli orari di lavoro contrattuali, quelle dei fornitori costretti a lavorare a condizioni inique, l’impiego di materiali pericolosi per la salute come la formaldeide o per l’ambiente come il PVC negli imballaggi…

L’ONG belga Oxfam-Magasins du monde ha voluto saperne di più e ha avviato un’inchiesta per far luce sulle modalità di lavorazione dei prodotti IKEA, sul sistema di approvvigionamento del legname e sull’applicazione delle norme di rispetto ambientale, sulle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti diretti e di quelli dei suoi subappaltatori.

La conclusione è che gli impegni assunti da IKEA, per quanto lodevoli e concreti, sono insufficienti a garantire soluzioni accettabili per la salvaguardia dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. Tanto più che, nell’ottica di un riserbo portato all’estremo, i suoi bilanci e i controlli effettuati in base al codice di condotta interno all’azienda (IWAY) non sono accessibili al pubblico.

L’IKEA è dunque il soggetto ideale per una seria inchiesta giornalistica condotta senza pregiudizi ideologici alla ricerca di una verità scomoda.

Questo libro però non parla soltanto di IKEA , ma anche (soprattutto?) di noi .

Il modello di sviluppo che, direttamente o indirettamente, è incoraggiato dalle pratiche del gruppo – acquistare sempre più cose, a un prezzo sempre più basso, da conservare per un tempo sempre più breve – è incoerente con un discorso sociale ed ecologico credibile. Per questo la responsabilità di accettare o rifiutare un modello di sovraproduzione e sovraconsumo ricade su noi acquirenti: scegliamo di consumare meno e meglio, in modo più equo, ribellandoci alla dolce influenza delle multinazionali.

L’agile volume di Bailly, Lambert e Caudron è una lettura sorprendente, una serrata inchiesta giornalistica sull’universo IKEA , condotta sul filo di preziose – e anonime – testimonianze di lavoratori e fornitori che compongono la galassia IKEA in tutto il mondo, dal Vietnam alla Bulgaria, dall’India al Belgio. Dati alla mano, ne risulta un quadro inquietante, certo molto diverso dall’immagine accattivante che la multinazionale svedese ha in tutto il mondo.

« Attualmente IKEA mantiene il massimo riserbo sulla lista dei suoi fornitori e dei paesi d’origine del suo legname. IKEA non rivela i propri conti. IKEA nasconde la propria struttura giuridica. Più che informarci, IKEA ci dà in pasto storie che non stanno né in cielo né in terra, delle saghe farcite di aneddoti su un sedicente miliardario spilorcio.»

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Peggio di Cernobyl

Tra le cose che uno ignora(va) c’è l’incidente nucleare di Mayak (ieri il 50esimo anniversario). 80 tonnellate di materiale radioattivo furono liberati da una ingente esplosione nel Kombinato Mayak, nel quale Stalin fece sviluppare armi nucleari.

L’incidente fu nascosto, centinai morivano nelle prime settimane ma nessuno sa il numero esatto delle vittime; la scienziata Natalja Mironowa è convinta che paesi come Karabolka non furano evacuati apposto per poter studiare le reazioni della popolazione nello stile Dott. Mengele.

[fonte ARD, greenpeace]

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Birmania on blog

dathana.blogspot.com/:

Internet cafes were closed down. Both MPT ISP and Myanmar Teleport ISP cut down internet access in Yangon and Mandalay since this morning. The Junta try to prevent more videos, photographs and information about their violent crackdown getting out. I got a news from my friends that last night some militray guys searched office computers from Traders and Sakura Tower building. Most of the downtown movement photos were took from office rooms of those high buildings. GSM phone lines and some land lines were also cut out and very diffficult to contact even in local. GSM short message sending service is not working also. Burma is blacked out now!

http://www.ko-htike.blogspot.com/:

-The soldiers, riot police, “Swann Arr Shin” (plains clothes policemen) and thugs who’ve just been sprung from prisons (given shorter sentences, if they agree to hurt innocent protesters) are reported to be beating people to death with clubs (to try to kill them silently). They are trying to reduce the number of shots being heard.

-Witnesses say some hotels were raided by soldiers and police and the guests’ cameras and laptops were checked for photographs of the recent events. I’m not sure if they took anything.

http://www.moeyyo.com/MM/ e flickr

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Set aside del set aside

Un terreno agricolo incolto è una cosa brutta come una casa abbandonata, né natura pura né campo né prato, una offesa per la natura. Se scappa un fuoco l’attraversa come nulla, con tutte le erbacce secche. Va solo bene per mezz’anno dopo il raccolto. L’introduzione del set aside obbligatorio rivelava tutta la perversione del agricoltura industriale: da una parte si fa del tutto per produrre di più sfruttando terre e animali al massimo e poi si deve mettere fuori produzione la terra per salvare i prezzi mentre ogni giorno muoiono nel mondo centomila persone di fame e si importa il mangime per la nostra carne da dove costa meno pagando contributi per le terre a riposo qui.

Ora con le scorte di cereali ai minimi storici si può ricoltivarlo, il terreno a riposo, si conta di raccogliere 10 milioni di tonnellate in Europa – se la stagione viene a modo. Da un calcolo casalingo-rurale questoicorrisponde una superficie di circa 2 milioni di ettari lasciato improduttivo.

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Africa allagata

Non è detto che un milione e mezzo di persone che hanno perso la casa c’è la fanno ad arrivare nelle prime pagine dei giornali. Lo tsunami in Indonesia aveva un numero uguale di sfollati ma immagini molto migliori per i media.

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Wifi no bis

Il contadino ha parlato male del wifi come lo fa pure il governo tedesco e nei commenti veniva chiesto come reagirebbero le api. Ieri c’era l’apicoltore qui (che sta facendo una lotta molta seria e impegnativa contro la varroa di questi tempi, chi dorme ora si trova senza api la prossima primavera) e si ragionava di questo.
Lui un test involontario l’aveva fatto una volta: Portava i bozzoli delle regine nuove nel suo capello e li metteva sopra il cellulare in macchina, sul sedile accanto. Normalmente ne nascono circa l’80%, da quelle sono nate invece neanche il 50%.

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Casa solare

In Svizzera fanno cose così:

E’ stata inaugurata a Burgdorf, in Svizzera, la prima casa solare plurifamiliare d’Europa riscaldata completamente a energia solare. Il tetto dell’edificio integra 276 pannelli solari (collettori termici) collegati a un enorme serbatoio per l’acqua sanitaria. Può rifornire di acqua calda e riscaldamento domestico gli otto appartamenti dell’immobile.

Il contadino però non potrebbe mai vivere in una casa che non ti lascia aprire le finestre. Già detesta questa limitazione nei treni moderni. Purtroppo pare che l’impianto d’aerazione con recupero di calore è essenziale (dettagli) per ottenere questi risultati. Ma un bel nome hanno, queste case, bisogna dirlo: Minergie®

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